giovedì 11 agosto 2011

Il ristorante più economico d’Italia

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Signore e signori, avete davanti a voi il menu più economico d’Italia: quello del ristorante del Senato!

Pensate, un piatto di penne all’arrabbiata, che in un ristorante può costare anche sui 6-6,50 €, lì costa appena 1,60 €!

E che dire del pesce spada alla griglia, che alle volte arriva ai 10 € e oltre? Qui a soli 3,55 €, per gli amanti dello spelling TRE EURO E CINQUANTACINQUE.

Parliamo anche dei dolci. Ampia scelta per tutti i gusti ad appena 1,74 €, dal carrello.

Sommata la bevanda standard, che presumibilmente è una bottiglia d’acqua, a 0,67 € e il coperto a 0,52 € ci si può fare un pranzo dignitoso con appena 8,08 €. Con quegli stessi soldi, un comune mortale precario, dallo stipendio medio di meno di 1000 € al mese e con la prospettiva di 40 anni e passa di lavoro prima di avere una minima pensione può al massimo permettersi un panino al McDonald’s.

Se parlassimo di una mensa aziendale, quei costi sarebbero pienamente comprensibili, ma non staremmo certo a parlare di gente che guadagna migliaia e migliaia di € al mese, con benefit validi quasi per tutto e che con una sola legislatura gode tranquillamente di un sontuoso vitalizio.

Il problema sapete qual è? Gliel’abbiamo permesso NOI. Noi abbiamo permesso che si concedessero così tanti lussi. Loro ne hanno semplicemente approfittato. Non possiamo solo continuare a lamentarci: o si agisce facendo sentire la nostra voce e rendendo chiaro che così nessuno può andare avanti o è inutile che andiamo loro addosso se poi non cambiamo lo status quo.

Quando parliamo di casta la realtà è che purtroppo la casta siamo anche noi stessi. Il primo cambiamento deve partire dai cittadini. Se lo capiremo, allora ci sono buone speranze di risanare questo paese.

domenica 7 agosto 2011

Il mistero degli orologi “morti”

Al ritorno dalle vacanze (post che mi riservo per domani o martedì al massimo) abbiamo trovato tutto tranquillo, nessun problema. Anzi, anche meglio di prima, per certi versi: la tartaruga è cresciuta ancora, il che significa che urge una nuova tartarughiera in quanto quella in uso ora potrebbe scavalcarla (e poiché è su un ripiano equivale al suicidio).

Ma c’è qualcosa che è inspiegabilmente accaduto in nostra assenza. Un po’ come succede improvvisamente nei laghi e nei fiumi con morie inspiegabili di pesci (peraltro è successo anche a Maiorca, nel fiume non molto distante dall’albergo in cui alloggiavo), buona parte degli orologi da polso presenti in casa sono “morti”. Non danno alcun segno di vita. Finché era uno, ci può stare, evidentemente bisogna cambiare la batteria. Ma sono tre e il più “giovane” ha meno di un anno dall’acquisto.

Dunque cosa può essere successo a tal punto da mandare kaputt tre orologi nello stesso periodo? So che ci sono stati dei forti temporali a Milano, infatti a casa di mia zia si è dovuto sostituire un decoder DTT perché fulminato. Ma gli orologi? Non sono collegati alla rete elettrica. Non sono collegati ad antenne. Nessuno di quelli che abbiamo è radiocontrollato. Una cosa che, sinceramente, non riesco a spiegarmi. Se qualcuno ha una spiegazione scientificamente plausibile me la riporti pure qui. Più che altro, per curiosità.

venerdì 5 agosto 2011

Mi fai copiare?

La Rete apre infinite opportunità per esprimersi e soprattutto per mettere in luce i propri pensieri e condividerli con gli altri. Tra le varie opportunità che offre ci sono anche quelle di poter essere un po’ tutti, nel nostro piccolo, giornalisti, grazie ai blog. Ci sono quelli più piccolini che devono crescere (WinBeta.it), quelli più grandicelli che si stanno sempre più affermando (SaggiaMente) e quelli più quotati che ormai sono quasi istituzioni del web.

Purtroppo queste opportunità offerte dalla Rete hanno anche aperto la strada a cattive usanze viste nella realtà quotidiana, una su tutte la copia. L’usanza di copiare è insita nell’uomo dalla notte dei tempi: la più famosa situazione è quella del compagno di banco che sbircia sul nostro compito per poter risolvere un esercizio o rispondere a una domanda o per fare meno fatica (la più abituale) o in caso di problemi nello svolgimento. Nell’editoria, la pratica di copiare è più diffusa di quanto si pensi. E si badi bene, copiare non significa riportare pari pari ciò che fanno gli altri: si possono modificare leggermente i titoli, qualche parola nei testi, qualche dettaglio nel design ma anche quello è copiare. Perché il contenuto di fondo non è il nostro. Questo avviene nell’editoria stampata tanto quanto in quella web. Anzi, nell’editoria web ha preso una piega ancor peggiore rispetto alla stampa. Gli strumenti informatici, infatti, consentono copie con molta più comodità e facilità rispetto a prima. Sommata alla percezione (abbastanza errata) che tutto ciò che c’è in Rete è utilizzabile da tutti, ecco che l’abitudine della copia è ormai un vizio piuttosto diffuso. Da fare una distinzione, però: c’è la copia e c’è la base. Se la copia è stata trattata poco fa, la base è la pratica di prendere l’articolo di qualcuno per utilizzarlo come, appunto, base di approfondimento. Nel caso delle notizie in altra lingua, poi, la base è necessaria: non ci si può inventare la notizia di sana pianta, se c’è già.

Ora torniamo alla questione copia, che si può fare? Ci sono due categorie. La prima è quella che della copia se ne sbatte. Alla fine, spesso sono piccoli blog che per qualche spicciolo di AdSense fottono gli articoli altrui, mi è capitato quando ancora Briciole Digitali era un blog di notizie informatiche giornaliere e non un contenitore casuale di pensieri come è adesso. Che vogliamo farci? Ci attacchiamo per queste cose? In fondo, la figuraccia la fanno loro, per il blog originale non cambia nulla. La seconda categoria è quella che non sopporta la copia e vorrebbe fermare i copiatori. Anche qui, vige un po’ un senso di anarchia. La miglior cosa da fare è sputtanarlo in pubblico in modo che la figuraccia sia ben evidente. La rabbia per la copia sale proporzionalmente alla caratura del copione: se un blog più grande del nostro inizia a copiarci, è chiaro che ci girano un po’ i maroni. Allora assumimi e pagami, così scrivo per te, visto che tu a quanto pare non intendi fare contenuti di tuo pugno! Esiste poi una sorta di terza categoria, quella che intendeva formare la Creative Commons. Una licenza particolare, che pur non volendosi intrufolare nei meandri del copyright intendeva fornire comunque una protezione agli autori di contenuti. Regole semplici, che consentivano all’autore di delimitare il raggio d’uso delle sue opere. Purtroppo la Creative Commons, strumento ottimo nella teoria, regge poco nella pratica: ognuno sembra sentirsi libero di fare il cazzo che gli pare, come se invece delle clausole di licenza avessimo messo scritto “fai ciò che vuoi”. E sorgono casi, fraintendimenti, liti e quant’altro.

Dai copiati, passiamo un attimo ai copiatori. Anche qui, ci sono delle categorie. La prima è quella che ammette la copia e smette. Incassa la figura barbina, capisce la lezione, preferisce dedicarsi ad altro oppure spremere finalmente le meningi per contenuti autoprodotti. La seconda è quella che ammette la copia, tiene un profilo basso ma se ne frega e continua a copiare. Sono dei muri e l’unica soluzione è aspettare che si stanchi di copiare. Oppure ci si stanca prima noi, un po’ com’è successo a me che da blogger indipendente copiato ho preferito passare sotto l’ala protettrice di altri blog più carrozzati. La terza categoria è quella più bastarda: non solo non ammettono la copia, ma accusano il copiato di essere a sua volta copione. Il tutto nonostante l’evidenza li mostri nel torto. Insomma, la peggiore razza, quella che da lì in poi farà di tutto per screditarci. A quel punto, sta al copiato difendersi: mostrare le sue ragioni screditando l’avversario oppure ignorarlo sperando che sia interpretato come segno di superiorità. Quando si è incazzati, bisogna ammettere che è un po’ dura ignorare gli attacchi personali e le copie, soprattutto se ripetute.

Posto che non c’è, dunque, una soluzione unica e definitiva al problema e posto che qui si parla di copie di grande portata e poco gradite e non quelle piccole e naturali come avvengono a scuola, mi chiedo: che gusto c’è, nel copiare? Ci si sente più furbi di quello che si fa il culo addormentato sulla sedia e le dita callose sulla tastiera per fornire ai suoi lettori articoli di qualità e soprattutto autoprodotti? Ci si guadagna di più con AdSense e robe simili? Ci si ottiene maggiore figura e prestigio per il sito? Che cosa si guadagna, nel copiare? Io penso non si guadagni nulla. Copiare non arricchisce, semmai impoverisce. E non dovrebbe essere questo lo scopo dell’informazione e della condivisione del sapere.